Con occhi curiosi e animo sognante.
Il Progetto
Omaggiando la Terra di Calabria con quaranta sentitissime opere, Luca Viapiana compone una serie pulsante che, con la coralità propria d’un mazzo di carte da gioco illustrate, interpreta con partecipazione e stile una splendida porzione di mondo e la sua gente.
I soggetti trattati si legano e si integrano in un originale spaccato che non rimanda a un’identità regionale preconfezionata ma documenta un patrimonio umano di peculiarità e piccoli gesti in cui ognuno può ritrovare un pezzetto di sé e del proprio vissuto.
Le illustrazioni risultano universalmente fruibili grazie ad una forte caratterizzazione iconografica che conferisce alle immagini potenza ed immediatezza. Ogni opera è corredata di un testo informativo, frutto di un attento lavoro filologico.
Questo progetto, intimamente legato alla cultura calabrese, nasce con il proposito di confrontarsi con chi vive questa Terra, con chi non la conosce ancora e con chi, lontano migliaia di chilometri, la porta nel cuore. Questa gioiosa Calabria a colori, piena di storie e di tesori, come i suoi figli sparsi per tutti i continenti vuole viaggiare per il mondo con occhi curiosi e animo sognante.
Una calabresità pulsante.
L’attività di disegno è stata preceduta da una lunga fase di studio e analisi filologica delle realtà territoriali regionali, allo scopo di individuare quei temi in grado di rivelare con maggiore intensità e nitidezza una calabresità pulsante.
1. CAPO COLONNA
Il promontorio che sancisce il limite occidentale del Golfo di Taranto sul versante calabro. Situato a pochi chilometri da Crotone e anticamente chiamato Lacinion, dal greco Lakistòs, letteralmente a picco sul mare, ospitava un Santuario dedicato ad Hera Lacinia, signora dell’Olimpo, divinità protettrice della fertilità e dei verdi pascoli. Nel V secolo a.C. veniva eretto nel sito un imponente tempio greco sorretto da 48 colonne doriche alte oltre 8 metri. Ne resta oggi solo una, bella e tenace, disarmante nel rammentare a navigatori e viandanti la caducità di ogni forma di devozione.
2. I BRONZI
Le leggendarie statue in bronzo donate al mondo dalle acque di Riace (RC) nel 1972. Databile al V secolo a.C. questa icona maschile duale testimonia l’alta maestria scultorea raggiunta in epoca classica nell’azzurrità della Magna Graecia. La plasticità della loro posa nasce dal chiasmo, formula compositiva che alla gamba flessa fa corrispondere la flessione del braccio opposto, esaltando così l’equilibrio statico della figura. Armoniosi e silenti, esuberanti ma timidi, sebbene questi guerrieri gentili siano legati ad una tonicità quanto mai muscolare, il loro sguardo fragile ed eterno rimanda ad una dimensione metafisica.
3. LE CASTELLA
La fortezza da mille e una notte che domina la baia di Isola Capo Rizzuto (KR). Incastonato nel mar Jonio, questo maestoso monumento difensivo, croce dei corsari e delizia dei mercanti, fu per millenni avamposto di speranza. Risalente al 400 a.C. conobbe la Magna Graecia, la dominazione turca e i fasti degli Aragonesi, sotto i quali assunse le attuali forme architettoniche. Secondo tanti l’isola di Calypso descritta da Omero nell’Odissea andrebbe collocata proprio qui, nel blu cristallino di queste sponde, il cui fascino senza tempo vive anche in quel nome romanticamente declinato al plurale secondo regole grammaticali desuete.
4. LA TARANTELLA
Danza tradizionale legata alla festa, la tarantella calabrese prevede passi di matrice ellenica che la rendono diversa dalle altre versioni meridionali, spesso legate a pratiche di esorcismo. All’interno della Rota, cerchio formato dagli stessi danzatori, le coppie ballano seguendo l’ordine deciso dal maestro di ballo: in quelle miste si inscena un corteggiamento in cui i modi civettuoli di lei ripropongono proprio un classico stilema greco, quando invece a confrontarsi sono due uomini, in genere di rioni diversi, si assiste invece ad un vero e proprio duello. Sullo sfondo dell’illustrazione il celebre ponte di Catanzaro, audace struttura in calcestruzzo concepita a metà ‘900 dall’ingegnere Riccardo Morandi.
5. LA CITTA’ VECCHIA
Trasudano poesia le possenti mura di Cosenza vecchia, borgo popolare ferito dall’abbandono ma ancora florido di orgoglio. Risalente al IV secolo a.C. le sue architetture di pregio raccontano l’apice della civiltà bruzia, affascinando viaggiatori d’ogni epoca e provenienza. Il colle, dominato dal Castello Svevo, ospita il Duomo, definito dall’Unesco Testimone di pace, e il Teatro Rendano, bomboniera ottocentesca di stile neoclassico. Nel 1897 lo scrittore George Gissing, rapito da questi luoghi, scrive che ad ogni passo c’è da stupirsi e da ammirare. Da questo dedalo di viuzze ci si imbatte in conventi e monumenti, piazze e palazzi padronali; e in certi balconi si scorgono ancora panni stesi al vento, tracce di vita come bandiere di resistenza.
6. IL LUNGOMARE
La magnifica promenade di Reggio Calabria, un percorso disseminato di palazzine liberty, sculture e orti botanici che vanta l’appellativo di Chilometro più bello d’Italia. Spesso la bellezza germoglia sul dolore più greve, così per questa grande opera, realizzata a partire dal 1785 su un piano urbanistico di rinascita imposto dal sisma che aveva devastato la città dello Stretto. Quando il cielo è terso, osservando all’ombra dei ficus monumentali il profilo disegnato sul mare dall’Etna, capita di godere della Fata Morgana, miraggio ottico concesso solo alla costa calabra che regala una Sicilia specchiata sull’acqua così apparentemente vicina da potersi accarezzare.
7. IL NON FINITO
C’è un amore perverso che lega la Calabria al cemento. Le strutture edilizie incompiute, da più di mezzo secolo una delle tracce umane maggiormente diffuse sul territorio, hanno oramai definito un vero e proprio stile architettonico contemporaneo. Da sagome scheletriche e parziali sbucano pilastri innervati di ferro che disegnano in cielo volumi che mai saranno: che si tratti di abitazioni per figli lontani che non torneranno o di ingombranti e silenti rovine, scorie di malapolitica, questa bulimia edificatoria, peculiare e disarmante, narra e stigmatizza le aspettative disattese di un popolo.
8. IL CODEX PURPUREUS
Il più importante e meglio conservato documento biblico della Cristianità. Realizzato probabilmente in Siria intorno al 550, questo capolavoro amanuense arriva fortunosamente a Rossano (CS) nell’VIII secolo portato in salvo da monaci in fuga da Bisanzio, capitale dell’Impero Romano d’Oriente in cui l’avvento dell’iconoclastia ha vietato il culto delle immagini. Il Codex Purpureus Rossanensis è un manoscritto onciale di 188 fogli di pergamena intinti nel rosso cupo della porpora, pigmento utilizzabile solo dalla famiglia imperiale, contenente un evangeliario in lingua greca impreziosito da 14 miniature e testi in oro e argento. Dal 2015 Patrimonio dell’Umanità riconosciuto dall’Unesco.
9. I VATTIENTI
Ogni Sabato Santo per le contrade di Nocera Terinese (CZ) si ripete da secoli il rito dei Vattienti, fedeli in tunica nera che si flagellano ex voto con il cardo, disco in sughero con 13 schegge di vetro, le lanze, simboleggianti Cristo e gli apostoli. I flagellanti, che lasciano su chiese e case la rosata, un’impronta di sangue di buon augurio, sono seguiti dall’acciomu, bambino in rosso la cui incorrotta purezza promette perdono dal peccato. L’odore acre del sangue, misto a quello del vino usato per disinfettare le ferite, avvolge i vicoli e le piazze di un paese affollato da credenti, curiosi e antropologi accorsi da tutta Europa, testimoni attenti di un’usanza sentitissima, sacra e profana, ancora oggi controversa e osteggiata.
10. IL MAIALE
A inizio d’anno, nella campagna placida che si prepara al risveglio, si consuma da tempo immemore il rito propiziatorio e cruento della mattazione del maiale. Il termine pare derivi da Maia, dea greca e romana dell’agricoltura alla quale il suino veniva offerto in occasione del raccolto. Nel corso dell’anno l’amatissimo porco viene nutrito con grande cura: quell’esistenza lurida che scalcia, grugnisce e fagocita è promessa di vita per intere famiglie. Poi l’ingrato destino della bestia si compie e le sue urla strazianti lasciano il posto ad un silenzio operoso, rispettoso e pregno di odori, presto soppiantato, a sua volta, da un crescente rumore di festa.
11. ‘A VARIA
La Varia di Palmi (RC) è la festa che nell’ultima domenica d’agosto celebra Maria Santissima della Sacra Lettera, patrona della città. Per la sua importanza nel 2013 l’Unesco l’ha inserita nel Patrimonio orale e immateriale dell’Umanità. La Varia da cui l’intera festività prende il nome è un enorme carro sacro allestito per rappresentare l’universo, alto 16 metri e trasportato a spalla da 200 ’mbuttaturi. Sopra di esso, festanti figuranti d’ogni età interpretano personaggi biblici e angeli. Tra questi, la benaugurante Animella, un’innocente bambina alata che, sorretta dal Padreterno, sfida le vertigini dalla sommità della struttura per simboleggiare l’assunzione in cielo della Vergine, di ritorno alla casa celeste.
12. L’OSPITE
La proverbiale ospitalità calabrese nasce da usanze millenarie: la Xenia, questo il nome greco, era un rituale basato sul reciproco rispetto tra ospite e ospitante che prevedeva la consegna, da parte di quest’ultimo, di un dono di commiato che suggellasse il saluto. I Greci credevano che in qualsiasi straniero di passaggio, fosse un ricco mercante o un mendicante, potesse nascondersi un dio travestito intento a mettere alla prova le loro virtù di accoglienza. Chi busserà ad una casa calabrese correrà sempre il rischio sublime d’esser sommerso di attenzioni, brindisi e prelibate cibarie, preparate secondo tradizione da vestali dei fornelli pronte a tutto pur di gratificare Zeus.
13. ‘A CAPUTOSTA
La pervicace ostinazione nel voler fare di testa propria è un tratto universalmente riconosciuto del temperamento dei calabresi. A volte si esprime in una cocciutaggine legata ad una scarsa elasticità mentale, in altre è legata ad una sfiducia preconcetta verso i consigli altrui. Più spesso, dietro questo atteggiamento rigido e apparentemente diffidente si cela una splendida forma di perseveranza, virtuosa e commovente, scolpita nel DNA di un popolo abituato a lottare.
14. LE COMARI
Estendendone il significato di madrine di battesimo, col termine comari si fa riferimento a quelle rassicuranti donne di rione, materne ed impiccione, con cui si ha un rapporto di confidenza e complicità. Affaccendate nei lavori di casa o appollaiate su una panchina, nell’immaginario comune queste romanzesche figure adorano dedicarsi all’arte del pettegolezzo. Le origini del termine, da pithecus, scimmia, delineerebbero addirittura un curioso parallelismo tra questo morboso scambio di segreti sussurrati e il grooming, il reciproco spulciarsi tramite cui i primati rinsaldano le relazioni del gruppo. Del resto la compiaciuta condivisione di dicerie, seppur tali, rende una comunità molto più stabile e pacifica.
15. I CARBONAI
Come guardiani ai margini di altari fumanti, resistono in Calabria gli ultimi carbonai, eredi di un mestiere millenario risalente ai Fenici. Il termine carbone deriva dal greco karpho, che per l’appunto significa asciugare. La carbonizzazione del legno prevede infatti un lento e naturale processo di combustione la cui cura richiede abilità, dedizione e tanta, tanta fatica. I boschi di Serra San Bruno (VV) sono ancora oggi disseminati di scarazzi, enigmatici covoni di legna coperti di paglia bagnata e terra. Questa pratica dalle dinamiche consuetudinarie, implicante una turnazione che coinvolge l’intero nucleo familiare, richiede 30 giorni di vocazione e metodo.
16. L’EMIGRANTE
Si calcola che dalla Calabria, che conta oggi 2 milioni di abitanti, a partire dall’unità d’Italia ne siano emigrati ben 3. Argentina, Canada, Germania sono solo alcuni dei poli attrattivi di un esodo senza precedenti che ha cambiato per sempre l’anima di questa terra e ha svelato ai suoi figli nuovi mondi. Gli stessi vagheggiati dai migranti di oggi, che cercano in Calabria un lido d’approdo e di pace. Dal presidente argentino Macri al Nobel per la medicina Dulbecco, tanti sono i calabresi che hanno onorato le loro radici, anche magistralmente, sgretolando razzismi e pregiudizi a colpi di lacrime e talento. Oggi come ieri, armati di tablet o valigia di cartone, figli della fame o di un’altra guerra, tutti alla ricerca di un nuovo inizio.
17. IL PACCO
Quando la dispensa è vuota e nel frigorifero risuona l’eco, la gioia data dal suono del campanello che annuncia l’arrivo del mitico pacco genera un’emozione indicibile. Studenti e lavoratori fuori sede, lontani dalle braccia di mamma e papà per cercare la propria strada, ritrovano in quel cartone pregno d’odori i lontani sapori di casa, e per un breve incanto di tempo ne risentono il calore. Conserve preparate da donne amorevoli, intingoli sterilizzati sotto ebollizione, forme di pane, soppressate e tenere sorprese: tutto vien fuori per entrarci dentro, tutto sta lì a parlare di noi.
18. LA PALA
I luoghi più adatti ad un parco eolico sono quelli aperti e vicini al mare, ragion per cui in Italia le regioni più interessate sono quelle del Sud. Gli interessi economici in gioco sono enormi e spesso queste energie pulite sono state fonte di soldi sporchi per i signori del vento dediti al malaffare. Ogni installazione ha un grande impatto ambientale perchè le pale costituiscono un pericolo per i grandi veleggiatori, provocando un effetto barriera che obbliga gru e cicogne a volare altrove. Ma al di là di tutto, queste girandole protese al cielo, immacolate e dal sapore gulliveriano, sono oramai parte integrante di un paesaggio che non ha saputo rifiutarle.
19. LA CALABRISELLA
Personaggio liberamente ispirato alla figura della pacchiana, la donna di Calabria che nei giorni di festa veste i fini ornamenti del costume tradizionale. In ogni comunità esso trova espressioni diverse: dai toni scarlatti di origine arbëreshë fino al panno azzurro del sud regione, passando per il rigore monastico del ritùartu di San Giovanni in Fiore (CS). Risalenti al ‘600, gli abiti sono allegorie di status sociale poiché i loro elaborati orditi custodiscono, nei colori e nei tessuti, una precisa simbologia. Il cerimoniale della prima vestizione, che nell’illustrazione fa riferimento alla pacchiana di Tiriolo (CZ), segna la fine della fanciullezza e lo sbocciare di una nuova calabrisella pronta a trovar l’amore.
20. IL SANTO
Personaggio liberamente ispirato a Francesco da Paola (1416-1507), santo taumaturgo patrono della Calabria e della gente di mare. Chiamato come il poverello di Assisi perché i genitori gli avevano chiesto la grazia di un figlio, a 13 anni abbraccia la vita eremitica nelle sue amate lande cosentine, scegliendo la nuda terra per giaciglio con quella spiritualità penitenziale che lo porterà poi a dar vita all’Ordine dei Minimi. Così povero da essere libero, è capace di liberare anche gli altri, difendendo i bisogni degli ultimi da regnanti e prelati. L’illustrazione fa riferimento al presunto miracolo della traversata dello Stretto: in viaggio per la Sicilia, dinanzi al rifiuto di un barcaiolo di traghettarlo gratuitamente, l’illuminato veleggia prodigiosamente sulle acque a bordo del suo mantello. Corre l’anno 1464.
21. IL CAVALIERE
Personaggio liberamente ispirato a Mattia Preti (1613-1699), figlio di una famiglia onorata di Taverna, paese della Sila catanzarese, e uno dei più grandi pittori del Barocco italiano. Nominato Cavaliere di Malta da Papa Urbano VIII, dipinge tra Roma e La Valletta, fondendo in una originale ricerca i chiaroscuri caravaggeschi, le luci del Veronese e la grazia gentile del Guercino. Ma la sua unicità vive nel dinamismo dei personaggi dipinti, attori melodrammatici intenti ad autocelebrarsi dentro messe in scena quasi cinematografiche. Si narra che il San Sebastiano citato nell’illustrazione, per la troppa somiglianza col popolano che aveva fatto da modello, fu rifiutato dalle suore committenti; il Cavaliere non si scompose e decise allora di esporlo in pubblico, affinché i giovani pittori potessero visionare un ritratto perfettamente riuscito.
22. LA REGINA.
Personaggio liberamente ispirato alla cantautrice Loredana Bertè, nata nel 1964 in quella Bagnara (RC) un tempo nota per l’instancabile tenacia delle sue donne, le bagnarote, capaci di sostenere il peso dell’intera comunità trasportando sul proprio capo pescispada, uve e tanto altro. La Bertè, ribattezzata Regina del Rock per l’indole trasgressiva e per la graffiante voce roca, è un’icona di libertà che ha giocato un ruolo chiave nell’emancipazione della donna italiana e che mai si è accontentata di un trono fermo da avanguardia venerabile. Un’artista fiera ed eccentrica che non ha mai risparmiato niente e nessuno, i buoni di professione, Dio, la sua stessa vita, e col pathos di una tragedia greca ha portato sul palco le sue notti insonni e il suo amore disperato.
23. L’ESTETA
Personaggio liberamente ispirato allo stilista Gianni Versace (1946-1997), il genio visionario che ha riscritto le regole della moda internazionale. Nato nel dopoguerra in una Calabria in cui è difficile anche sognare, fedele al suo talento apprende il mestiere giovanissimo, nella sartoria della madre: Reggio è il regno dove è cominciata la favola della mia vita, dove ho cominciato a respirare l’arte della Magna Graecia. Perdutamente innamorato del bello, Versace ha portato in passerella la storia dell’arte italiana, reinterpretando il barocco mediterraneo con una fusione di geometrie e infiorescenze che hanno liberato la moda dal conformismo; con lui le modelle sono diventate sculture viventi dotate di un’eleganza nuova perché anche l’eccesso, nelle sue mani sapienti, è diventato stile.
24. IL MENESTRELLO
Personaggio liberamente ispirato al cantautore crotonese Rino Gaetano (1950-1981), guascone dal piglio malinconico che con testi scanzonati e tiepidi di Sud cantò il cruccio dell’amore ed espresse una denuncia sociale ancora oggi applicabile. Irriverente e imprevedibile, attraverso ballate struggenti e brillantemente nonsense, criticò e influenzò il costume del bel paese, dipingendo un’Italietta sospesa fra teatrino politico e contestazione. Quando gli chiesero da cosa traesse ispirazione si definì uno che sta nei bar e sente le voci che girano attorno. Rino fu proprio questo, un ragazzo autentico e sedotto dal creato capace di incarnare a pieno il mito romantico del poeta per vocazione, quello in cui arte e vita sempre coincidono.
25. IL MAESTRO
Personaggio liberamente ispirato all’artista Mimmo Rotella (1918-2006), avanguardia del Nouveau Rèalisme e della Pop Art. In una Catanzaro culturalmente attiva, scopre la forza del colore coi cappelli realizzati dalla madre, apprezzata modista. Poi la smania di misurarsi col mondo e una vita da bohèmien spesa sperimentando, culminata, nel 1953, in una illuminazione che definirà il furto della realtà: il manifesto pubblicitario strappato. Rotella ruba rabbiosamente alla strada lembi di pelle e dà vita ai Dècollage, opere dense di cinema e boom economico in cui il disordine dadaista e l’informale materico si fondono in un linguaggio nuovo e stratificato che trasforma lo spazio urbano in un museo a cielo aperto, effimero, struggente e quanto mai pulsante.
26. IL CAMPIONE
Personaggio liberamente ispirato al calciatore Rino Gattuso (Corigliano Calabro, CS, 1978) che nel 2006, a Berlino, alza al cielo la coppa del mondo. Da ragazzo sogna di fare il pescatore: all’alba esce per mare, al tramonto scarica casse di pesce; e in spiaggia, per giocare a pallone, con le taniche di nafta dei barconi fa i pali delle porte. Tecnicamente poco dotato, è proprio coi piedi nudi sulla sabbia di Schiavonea che si fa le gambe, dimostrando che con l’impegno si può arrivare ovunque. Per l’agonismo ruvido con cui lotta a centrocampo rubando palloni su palloni si guadagna il soprannome di Ringhio. Un figlio di Calabria puro, capace di riscattare se stesso e quella cultura del non delegare di cui è sempre rimasto ambasciatore scalzo.
27. LA MAMMA
Personaggio liberamente ispirato alla mistica di Paravati (VV) Fortunata Evolo (1924-2009), Mamma Natuzza, come la chiama la gente. Umile come un verme di terra, così era solita definirsi, capì presto che la sua missione era dar conforto ai bisognosi; di contro, non colse subito la natura dei suoi strani carismi, di quelle ferite che nei giorni precedenti la Pasqua riscrivevano sul suo corpo la Passione del Cristo. Le sono stati attribuiti svariati episodi di veggenza, ubiquità e illuminazione diagnostica. Per tutta la vita, ogni giorno, ha ricevuto disinteressatamente centinaia di persone, ritirandosi solo quando la salute gliel’ha imposto. Una vita nascosta e straordinaria, costellata di fenomeni di cui lei stessa sembra essere stata innocente e docile strumento.
28. LA VOCE
Personaggio liberamente ispirato al cantautore e compositore Mino Reitano (1944-2009), grande esponente della musica nazional popolare italiana e protagonista di una carriera strepitosa che lo porta ovunque ma che mai lo allontana dalle sue radici e da quei valori nobili che solo la miseria sa insegnare. Orfano di madre e figlio d’un ferroviere, a 14 anni lascia Fiumara (RC) per cercar fortuna ad Amburgo, piazza musicalmente vivace. Qui fa gavetta fino alla meritata ascesa, suonando al fianco di leggende del calibro dei Beatles. Universalmente riconosciuto per la pienezza del suo canto diaframmatico e per la fiera esuberanza delle sue esibizioni, Mino è la voce della gente, quella stessa gente che ancora oggi ricambia l’infinito amore da lui seminato.
29. L’ASPROMONTE
L’impervio rilievo montuoso a terrazze sovrapposte che, nel reggino, permette la convivenza di scenari con altitudini e anime diverse. C’è qualcosa di ancestrale nell’ordine divino di questo massiccio dalle cavità misteriose, qualcosa di liturgico nella luce bianca che ne avvolge ginestre e greggi. L’illustrazione si rifà alla leggenda risalente al IV secolo secondo cui Papa Silvestro, in fuga dalla persecuzione dei cristiani voluta dall’imperatore Costantino, fa eremitaggio in una grotta d’Asprumunti. L’imperatore, colpito dalla lebbra, lo rivuole a Roma per chiedergli la grazia e dopo averla ricevuta si converte. Prima di ripartire per la capitale, il papa nasconde sottoterra una croce in metallo, rinvenuta molto più tardi da un bovino al pascolo. Il Santuario della Madonna di Polsi sorgerebbe esattamente in quel punto.
30. LA SILA
L’immenso altipiano montano che domina il centro e il nord della regione, regalando paesaggi ovattati di bianco o dai colori mozzafiato. Anticamente chiamata Silva Brutia, è oggi suddivisa in Greca, Grande e Piccola e tocca le province di Cosenza, Crotone e Catanzaro. Questi luoghi incantati, disseminati di laghi, ruscelli e selve degne d’una fiaba, ospitano una fauna appenninica di rara bellezza, dal lupo silano al gufo reale, passando per la nerissima zaccanella, vispo scoiattolo autoctono dal collo macchiato di bianco. La terra, non da meno, nutre e custodisce meraviglie come i Giganti di Fallistro, esemplari di Pino Laricio vecchi 400 anni che, come colonne vive tendenti al cielo, cercano l’infinito ma raccontano la storia.
31. ARCOMAGNO
Nell’alto tirreno cosentino, in quell’avvicendarsi di calette appartate ch’è la Riviera dei Cedri, sorge l’incantevole spiaggia di Arcomagno. Questa piccola e magica baia, racchiusa da un braccio roccioso che le conferisce le fattezze di un porto naturale, giace all’ombra di uno strapiombo alto più di 100 metri. Solo la mano sapiente di Madre Natura, con la complicità di una paziente erosione perpetrata dalle onde, poteva scolpire una tale meraviglia che, come un portale aperto sull’impero del mare, invita l’occhio di chi guarda a cercare nuovi orizzonti.
32. LA CITTADELLA
Come una sfinge adulata dagli ulivi, la Cittadella regionale si staglia sulla campagna argillosa della Valle del Corace (CZ). Inaugurata nel 2015 su un progetto dell’architetto Paolo Portoghesi, è il motore amministrativo della Regione Calabria, di cui ospita Governatore, Giunta e 1800 dipendenti. Ribattezzato Palazzo degli Itali in onore del popolo preistorico indigeno da cui deriverebbe il termine Italia, è allocato su spazi degni di una reggia e alto ben 39 metri. Un’opera strategica dagli inusitati volumi e dalle eleganti simmetrie che ben rappresenta il suo essere il centro nevralgico della gestione della cosa pubblica.
33. IL PINO LORICATO
In Italia il Pinus leucodermis, ossia dalla pelle bianca, vegeta esclusivamente nel Parco Nazionale del Pollino. L’esemplare più longevo d’Europa, scoperto proprio nel cuore del massiccio cosentino, vanta ben 1230 primavere ed è stato ribattezzato Italus in omaggio al re di Enotria che qui visse 3000 anni fa e da cui deriverebbe la parola Italia. I venti sferzanti e la progressiva caduta della corteccia, la cui trama ricorda la corazza militare romana detta lorica, fanno assumere al nudo tronco dell’albero forme irrisolte, scheletriche e antropomorfe, quasi fosse un fossile animato. Abbarbicati alle rocce aguzze o disseminati tra i pianori, questi giganti d’avorio sfidano il gelo e ingannano l’eterno.
34. LA CIPOLLA
La Rossa di Tropea (VV), regina delle gigliacee, vanta una storia millenaria risalente alla tradizione assiro babilonese. Così chiamata perchè dal dopoguerra in poi spedita in tutto il mondo dallo scalo ferroviario tropeano, viene coltivata lungo la fascia tirrenica, tra Vibo Valentia e Cosenza, e deve la sua dolcezza al microclima particolarmente stabile nel periodo invernale. Composta da tuniche concentriche e carnose bianche, rubino e lilla, come una divinità proletaria dai mille veli ha nutrito, sostenuto e protetto un’intera area rurale. Nessuno conosce la ricetta dell’amore, ma per la dolcezza che lascia in bocca e per le lacrime che fa versare vien da pensare che dentro ci sia tanta, tanta cipolla.
35. IL PEPERONCINO
L’ardente diavoletto folle. Importato da Colombo a fine ‘400, il Capiscum annuum ben si acclimatò nella punta dello stivale, diffondendosi tra chi non poteva permettersi spezie pregiate e sviluppandosi in diverse varianti, dal Diavolicchio di Diamante al Corno di Soverato, che ancora oggi puntellano di rosso gli orti dei calabresi. Oltre a proprietà antibiotiche e conservanti, gli si attribuiscono anche grandi poteri afrodisiaci poiché la tanta capsaicina in esso contenuta, infuocando i recettori del caldo presenti sulla lingua, dona eccitanti vampate di passione che, in un voluttuoso e seducente avvelenamento, partono dalla bocca per raggiungere ogni dove. Del resto è cosa nota, Calabrians do it pepper!
36. U SALATURU
I popoli del Mediterraneo usano il sale fin dalla notte dei tempi. ‘U salaturu, la conserva per l’inverno più antica e amata dai calabresi, è un cilindro in terracotta chiuso da un coperchio in legno su cui viene posta per 30 giorni una pietra, ‘a mazara, chiamata ad esercitare una pressione costante su quel coro di ortaggi in salamoia che, per metonimia, prenderà lo stesso nome del recipiente in cui ha trovato maturazione. Peperoni tondi, olive con l’osso e finocchio selvatico sono solo alcuni degli ingredienti di questa prelibatezza venuta da lontano, la cui preparazione è ancora oggi un rito domestico capace di adunare generazioni tra loro distantissime.
37. ‘A PITTA ‘NCHIUSA
Il più tipico tra i dolci secchi calabresi nasce nel borgo silano di San Giovanni in Fiore (CS) come dono della famiglia dello sposo nelle feste nuziali, la sua forma a spirale racchiude infatti simbolismi augurali arcaici di espansione e crescita. Proprio per l’aspetto decorativo, per alcuni il nome deriverebbe dal latino picta, dipinta, mentre per altri andrebbe associato a pitta, termine greco indicante la focaccia. Quali che siano le sue origini, quest’amabile convivenza di farina, frutta secca e miele racconta l’incontro felice di tante culture che, contaminandosi, hanno scritto epoche irripetibili. Elaborata nella preparazione e raffinata al palato, la pitta ‘nchiusa, detta anche ‘mpigliata, viene oggi preparata nei periodi natalizi e pasquali.
38. ‘A ‘NDUJA
L’infuocato insaccato morbido di Calabria che, diffuso dall’esodo dei suoi figli, ha sedotto e conquistato il globo. Di origini umilissime perché originariamente composta da soli scarti, questa superba unione di carni suine finemente tritate e peperoncino prende il nome dalla francese andouille, salsiccia similare importata in terra bruzia nel regno napoleonico di Gioacchino Murat e così chiamata per derivazione latina: da inductilia, da mettere dentro. La ‘nduja viene prodotta prevalentemente nella zona di Spilinga (VV), a cui l’imponente acquedotto di epoca murattiana presente nell’illustrazione fa riferimento.
39. IL BERGAMOTTO
L’oro verde di Calabria, elisir di lunga vita. Questo inebriante agrume, il cui nome vuol dire pero del Signore, dal turco beg armudi, si concede solo in un fazzoletto di terra della Locride, nel reggino, tra Villa San Giovanni e Siderno. Baciato da una straordinaria fragranza e provvisto della straordinaria proprietà di fissare nel tempo le altre, i suoi pregiati oli sono da secoli impiegati in campo cosmetico e più recentemente hanno dimostrato anche alti doti curative. Un tempo l’essenza veniva isolata a mano dai mastri spiritari tramite spugnatura, oggi si usa invece la cosiddetta macchina calabrese, primo sistema industriale di estrazione del prezioso succo, opera d’ingegno vincitrice, nel 1844, dell’Expo universale indetto dai regnanti Le Due Sicilie.
40. ‘A ‘NDRANGHETA
Là dove si produce una dialettica di comando tra un vertice e una base c’è una zona grigia dai contorni incerti, quella di coloro che a vario titolo e responsabilità collaborano al funzionamento della macchina di potere. Tra le maglie di queste connivenze si annida spesso la ‘ndrangheta, l’organizzazione con vertice collegiale che attraverso attività legate a narcotraffico, smaltimento rifiuti, estorsioni, appalti truccati e gioco d’azzardo stigmatizza l’idea stessa di Crimine. Saldamente basata sui vincoli di sangue dei componenti le famiglie, le ‘ndrine, è infatti l’unica mafia presente in tutti e cinque i continenti. Violenta e lucida, capace di condizionare profondamente la società già fin dai tempi dei Borboni, ruba il suo nome al greco andragathía: virilità, onore, rettitudine.